Addio Croz, mio eroe
La morte di David Crosby mi fa pensare a tante cose, che provo a mettere giù per smaltire la commozione.
Ci sono due tipi di musica.
Il primo tipo di musica è quella che si dà il compito di allontanare i fantasmi. Si suona per superare la paura di vivere, di morire e di tutto quello che accade nel mezzo. E questo ci dà una strana forza, senza musica tante imprese non sarebbero mai state compiute. La musica come consolazione che ci salva dalla tristezza e dal dolore, che eleva e accompagna la gioia e l’amore.
Il secondo tipo di musica riguarda sempre i fantasmi… ma i fantasmi li chiama a sé, lasciandosene sedurre per conoscere l’ombra della luce, il segreto che si cela dietro le cose. C’è un prezzo da pagare, naturalmente. Un viaggio nella propria ombra da cui si può anche non far ritorno oppure non sfruttare l’occasione.
(Poi c’è la musica di merda, l’intrattenimento che della musica conserva la struttura ma è svuotato di ogni senso. E il senso della musica, in ogni culto e in ogni epoca, è aprire il rito con cui si entra in contatto con quelle forze sovraumane che regolano l’esistenza umana. Anche questi sono i nostri fantasmi e anche per questo la musica che non riguarda i fantasmi non è tale per definizione.)
David Crosby è stato uno dei più grandi praticanti del secondo tipo di musica, uno dei più grandi irregolari del nostro tempo sempre più regolato, un duro e puro che non voleva piacere a tutti e ci è riuscito benissimo, uno che non era in grado di intrattenere neanche se stesso e quando ci ha provato con la musica è stato il suo unico fiasco. Lo avrebbero chiamato maudit se si fosse limitato a scrivere poesie e invece si è unito chitarra in mano a un manipolo di squilibrati poeti avventurieri che non hanno mai messo piede sulla Luna ma hanno trasformato la West Coast in un distaccamento di Saturno per almeno un decennio. Alcuni tra loro sono morti giovani e belli nell’ebbrezza del viaggio oltre i propri limiti, tanti sono tornati e non si sono più ritrovati nei confini mentali dati agli umani, altri si sono venduti tradendo gli ideali di una generazione, ispirando nella comunità l’idea che fosse tutto un gioco prima di diventare adulti. Pochi, pochissimi hanno preso dannatamente sul serio quell’idea dal primo all’ultimo giorno senza mai risparmiarsi nulla e uno di questi era David Crosby, nato una volta, morto molte volte prima di questa con la droga le armi la follia la violenza la solitudine e rinato altrettante. Rinato sempre con una canzone a testimoniare il suo viaggio, il viaggio che non abbiamo il talento e la follia (forse sono la stessa cosa) di fare fino al punto in cui lui si è esposto. Canzoni che resteranno nella storia della musica, scritte con Stills Nash e l’altro mio eroe Neil Young, con i Byrds e tante da solo comprese le ultime, commoventi, sulla sua finale redenzione e apertura alla possibilità di una luce ininterrotta sulle cose.
Ma per quale idea fare tutto questo casino invece di una comoda vita ammobiliata? Secondo me il ramo d’oro di Crosby è nei tre versi finali di una delle sue canzoni più belle. La visione di “Only a child laughing
In the sun”, con quel “Ah, ah, ah” eco della risata di un pazzo e Crosby pazzo lo era davvero, infine aggiungendo un “I was mistaken…” in cui c’è tutto Crosby davvero. E tutti noi, tutto quello che potevamo essere.
In quell’epoca di guru con una verità al minuto lui da subito disse di non sapere. Ma vinsero i guru e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Quel bambino nel sole è l’inizio del suo viaggio e il suo ritorno finale, l’immagine allo specchio di una leggenda vivente. La poetica di Crosby ha un’evoluzione assurdamente circolare nonostante tutte le cadute e le curve a precipizio e i voli altissimi. Questo Dioniso moderno con una parabola quasi parnassiana, si direbbe. Per ulteriori parafrasi sull’immagine del bambino nel sole chiedete a un critico letterario che ribadirà magari la colossale puttanata che le canzoni non sono poesie. Per l’immagine intatta vi basta il poeta che Crosby fu fino a ieri, quando ha chiuso gli occhi per il Viaggio e con gli occhi tutte le visioni di un’opera leggendaria.
Addio, mio eroe.
