La mia postfazione a Stadio Successivo, di Giovanni Peli
Ho scritto la postfazione del nuovo disco/libro del mio amico Giovanni Peli. Ecco la prima parte, buona lettura e poi ascolto!
Negli ultimi anni della mia vita passo molto tempo a pensare alla morte. La morte riguarda da vicino anche il mio lavoro, la psicoterapia, e il mio mestiere di scrittore. Se non ricordo chi disse di essere disposto persino a vivere pur di scrivere, potrei obiettare che ci vuole una pari disponibilità anche nell’accettare non tanto la morte in sé per sé, fatto ineludibile, ma la morte come punto finale alle parole della vita di uno scrittore.
Quando ho iniziato a dedicarmi all’ascolto di “Stadio Successivo”, il nuovo disco di Giovanni, ero ancora in India, a Varanasi. Varanasi è la città della morte: sedersi sui ghat è sedersi sulla sua scena immutata, esserne ospiti, poterla osservare: qua la si inscena, la si celebra, la si anela. Allora tutto il resto diventa un’illusione, un’illusione di cui fino all’attimo prima non avevamo mai dubitato di far parte. E che di vita in vita si rinnova finché non saremo pronti per tornare all’Intero.
In quei giorni di lunghe camminate sui ghat in cui il Gange diventa uno sterminato obitorio, ripetevo tra me e me queste due parole che sembrano una, Stadio Successivo, come a un bellissimo modo per chiamare il viaggio che ci aspetta alla fine della vita e quindi anche delle parole. Questo termine così asciutto riguardo al post mortem sembra coniato da Thomas Bernhard per il suo essere tanto asciutto e impenetrabile ma anche aperto a tutti i significati. Se nei romanzi di Bernhard ogni vicenda, anche la più quotidiana e all’apparenza banale sembra riempirsi di verticalità, Stadio Successivo in bocca a Giovanni Peli mi appariva come un mistero da indagare.
Anche per questo il libretto che segue il disco è interessante, per chi come me cerca di seguire la rotta tracciata da Giovanni attraverso le sue opere. Per decifrare le tracce che “non lasciamo per gli altri, né per noi stessi, le lasciamo e basta. Tutto quello che facciamo lascia una traccia. Qualcun altro percepirà una presenza” ci avverte nelle prime pagine. Eureka!, pensai dopo aver letto questo passaggio. Stadio Successivo non descriveva un termine temporale o un’altra dimensione spazio-temporale. Stadio Successivo è l’altro che percependo la nostra presenza, ci richiama in vita anche oltre il termine delle parole. Il testo della canzone che apre il disco, l’intensa e rarefatta “Fede”, sembrava dimostrare in modo schiacciante la mia ipotesi sebbene poi abbia scoperto altro…
