Mi stupisce che ci si stupisca per le parole di Michela Murgia davanti alla propria morte

Mi stupisce che ci si stupisca per le parole, stavolta bellissime, di Michela Murgia davanti alla propria morte. La prospettiva che ha testimoniato è completamente orientale, già fatta propria da tanti scrittori, musicisti e artisti che l’hanno preceduta. Mi viene in mente Huxley che spira con una dose massiccia di LSD mentre la moglie gli legge il libro tibetano dei morti. Oppure Terzani che mano a mano che si avvicina alla fine trasforma i suoi scritti in letture memorabili anche per quel riconoscere che l’Occidente non sa morire, che si muore meglio rivolti altrove. Terzani usa l’ovest del mondo per cercare di sfuggire alla morte attraverso le cure più avanzate, ma è da est che arriva il modo per abitare la propria condizione di morente. Anche la Murgia davanti alla morte sembra buddhista più che cattolica, sicuramente quel passaggio dell’intervista è ovunque nelle filosofie orientali, non a caso nella stessa intervista racconta che la sua patria poetica è la Corea. Non sorprende dunque assistere allo stupore per questa postura di Oriente latente davanti alla morte dalle stesse persone che si sono affrettate a giudicare pochi giorni fa un gioco innocente del Dalai Lama per pedofilia, questo rivela due momenti della stessa scarsa conoscenza dell’Oriente. Ben venga invece chiunque sappia offrire davanti alla morte una prospettiva diversa, la più difficile, quella su cui non ci si può improvvisare, quella che viene dal lavoro personale, meditando sulla natura dell’anima. Anima, vorrei ricordare, parola tabù delle facoltà di psicologia contemporanee e forse anche per questo, da noi, morire é più difficile di quanto già non lo sia, intendo se chi deve aiutare a vivere non è minimamente preparato rispetto al morire. Sarebbe bello e importante che la Murgia scrivesse di più di quello che sta vivendo, con il pubblico che si ritrova, aiuterebbe molte persone a trovare un modo per stare davanti alla propria morte, perché non tutti possono andare in India, meditare o leggere Elemire Zolla, che della morte diceva tempo fa.
“Se ci si abitua ad accorgersi della presenza della morte, ci si accorge anche che noi stiamo morendo, perché muore in noi tutto ciò di cui perdiamo memoria. La notte uccide quasi tutta la giornata precedente, e guai se non lo facesse. Che cos’è la morte in sé e per sé? Semplicemente quest’esperienza quotidiana, molto più accentuata durante la notte, che a un certo punto diventa tutta l’esperienza: non c’è più null’altro che questo sparire. Ma se ci si è abituati, non deve ferirci.”

Lascia un commento