Viaggio in Islanda
Al terzo tentativo approdo finalmente in Islanda. La prima volta saltò per una disgrazia, ci dovevo arrivare con una nave merci inglese passando dalle isole Fær Øer, ero di ritorno da sei mesi in India, sarebbe stato un sogno. La seconda saltò per un lampo fulminante di antani con i miei amici, ci presentammo all’aeroporto di Genova invece che a quello di Ginevra, che figura di merda. La terza volta mi sta lasciando senza parole, ho viaggiato in settanta nazioni diverse ma l’Islanda è speciale, a chiunque mi legga dico venite qua una volta nella vita e ora metto una foto a caso di Jökulsárlón, ovvero: un’enorme laguna glaciale con gli iceberg che si staccano dal ghiacciaio per tuffarsi nell’oceano scivolando lungo un canale con le foche a fare capolino.

Il villaggio di Vík, ultimo avamposto prima delle grandi distese spopolate del sud est islandese, è un borgo suggestivo che si affaccia sull’Atlantico con la spiaggia nera di Reynishverfi, una delle più belle che abbia mai visto: davanti a quei faraglioni c’è una scogliera in basalto, con colonne che sembrano scolpire da un artista del paesaggio. L’autore è l’incontro repentino tra lava e oceano. Cercate le foto, l’ultima decente l’ho fatta qui, poi c’era da lottare contro il vento forsennato per arrivare lì.

La costa orientale dell’Islanda inizia con l’oceano che bacia i ghiacciai, poi si aprono plateau che ricordano quelli tibetani, per diventare una raffica di fiordi con la strada a precipizio sul mare e dietro le cime innevate. Un’epifania per gli occhi, guidi cinque ore e neanche te ne accorgi; ogni tanto ti fermi, scatti una foto e riparti. Nella foto: la pausa pranzo.

Seyoisfjorour ti aspetta in fondo all’ultimo fiordo dopo una lunga giornata di curve tra l’oceano e la neve. Quando arrivi senti sussurrare dalle finestre e dai tombini: rilassati, sono il posto che cercavi.

In Islanda la luce delle dieci di sera è ancora più bella di quella di mezzanotte. C’è il sole che si torce all’orizzonte, che getta un grido sulle cose: io non posso morire. L’ultimo bagliore prima di resistere alla notte.

A Húsavík si vedono le balene, dicono. E da italiano penso subito alla fregatura, penso ma figurati, ma ti pare. E invece si vedono davvero. Tante, enormi e da vicino. E allora uno che va a Húsavík non solo vede le balene, ma capisce che se gli islandesi dicono una cosa, c’è da fidarsi. Che son bella gente, peccato siano così pochi esemplari.

E poi ci sono i paesini islandesi, che compaiono improvvisamente, dopo ore di strada nel nulla. Per esempio io mi sono innamorato di Hofsos, alle undici di sera, su quella panchina laggiù in fondo, davanti al grande nord sul mare. Dopo è stato tutto un cercare di fotografare quel mistero dei luoghi che appare e scompare.

Un viaggio nel viaggio in Islanda. Tra i tanti “denti” che si affacciano sull’Oceano spuntando dalla linea di costa, il mio preferito è quello da Akureyri a Hofsos: Trollaskagi, la terra dei Troll. Non c’è nessun altro a percorrere le strade bianche a precipizio sul mare, puntellate da villaggi di pescatori deserti. Ci sono invece le capre a pascolare e i cavalli selvaggi con le chiome al vento, che sembrano perduti in un altro tempo, in un altro mondo prima di questo. Dopo un lungo tunnel spigoloso, con la roccia viva a lambire la carrozzeria dell’auto, si arriva sull’altro versante. Da una parte mare, mare e mare fino a immaginare il Polo Nord da qualche parte oltre l’orizzonte. Dall’altra distese di nulla. Il vuoto islandese, un niente che sembra tutto.

L’Islanda è una terra di fiabe, leggende e creature come elfi, fate, troll e i fiordi del nord ovest conservano segni di questo passato magico. La gente del posto ha costruito sedie enormi per quel giorno in cui i giganti torneranno e saranno stanchi per il viaggio da un mondo all’altro. Davanti ai troni vuoti mi sono sentito triste: oggi noi umani siamo soli davanti al mistero intatto del creato. Chissà dove sono andati, loro, intanto.

L’Islanda è come un’ubriacatura. A me, lassù, dopo qualche giorno, piacevano anche le chiese. Non che le nostre siano brutte, per usare un eufemismo, ma quelle sembravano adempiere ancora al loro scopo. Sembravano templi dedicati alla natura. Mi veniva da entrare e pregare anche a me, per questo qualcosa che non c’è. Mi veniva da dirgli: caro dio, non sai cosa ti perdi.

L’ultimo giorno in Islanda coincide con un dj set di Bjork nel suo negozio di dischi a Reykjavík, all’interno di una manifestazione contro la caccia alle balene. Sembrava di essere invitati a casa sua, lei girava tra la gente per scambiare due chiacchiere con un calice in mano. Per la prima volta in vita mia mi sono trovato davanti a una diva, un essere umano permeato di un’energia tale da renderla diversa da tutti noi. E mi sono sentito come quelle ragazzine urlanti davanti ai Beatles.

3000 chilometri in 10 giorni nel paese in cui ci sono più pecore che persone e il monumento più fotografato è una cascata, questa. Ho viaggiato in alcune delle terre estreme più belle del mondo: la Siberia, la Scandinavia, il Nord della Scozia e l’altopiano tibetano. Ma l’Islanda è l’Islanda.
