Maledetti Toscani!
Tante volte mi è capitato di sentirmi rivolgere da forestieri l’annosa domanda sulla mia amatissima terra, che sento pulsare nel sangue come il padre e la madre. Domanda riassumibile con “Come funziona la vostra strana Toscana?”. Allora metto giù due righe a futura memoria, debitrici di Malaparte, di Dante, di Nuti e del primo Benigni, di tanti altri toscani d’ingegno rarissimo ma soprattutto pregni della mia esperienza, da toscano, della toscanità. Si parte.
Livorno è un’isola dentro la Toscana, c’è chi vi giunge e non fa più ritorno sulla terraferma, lì non si chiedono il senso della vita ma si fermano al che si mangia stasera e sono cannibali coi vicini, prelibatissimi, pisani. Pisa è “il solo camposanto che ci sia al mondo, tutti gli altri son cimiteri” diceva Malaparte, che non aggiunse altro degli anonimi e mansueti pisani, eccezione bonaria alla proverbiale cattiveria toscana. Grosseto, come sanno tutti, non esiste sul serio, è un cuscinetto tra noi e i romani per convincerli di poterci avvicinare, il vero grossetano si nasconde alle pendici dell’Amiata, la Toscana cercatela in Maremma. Gli elfi nostrani della Terra di Mezzo sono i senesi, creatori di lingue e riti, da secoli invisibili: riescono a vedersi, parlarsi e sentirsi solo tra loro e tutti sanno gli effetti a lungo andare degli accoppiamenti tra consaguinei. La Versilia è una sterminata domenica che si sveglia per Carnevale e accoglie una comunità di profughi milanesi che non ci provano neanche a integrarsi, risparmiandoci la fatica di respingerli. La Garfagnana è una sterminata bestemmia e non scrivo altro perché i garfagnini fanno paura, non vale la pena rischiare la vita per un post. I carrarini son come le Apuane, son come il marmo, hanno un verso solo e se provi a passare da quello sbagliato non incidi e rischi di farti male, chiedere ai nazisti per credere. Poi c’è tutta quella gente che non parla neanche toscano, che vive tra Massa e la Lunigiana, che ce la teniamo per quel capolavoro di ignoranza che è ma sarebbe da restituire alla Liguria come la Gioconda alla Toscana. Arezzo è da una parte, lontana e non manca davvero a nessuno, me la stavo quasi scordando, poteva essere il posto del cuore solo di Saramago, uno famoso per aver scritto un libro chiamato “Cecità” e non esser mai stato sul Pratomagno, che di quella terra custodisce la bellezza. Per saperne di più sull’Isola d’Elba chiedete a un tedesco, ormai di quell’arcipelago caraibico ne sa di più uno di Dusseldorf che uno di Volterra, bisognerebbe mandarci i carrarini a liberarlo dall’invasione straniera. Il pratese non esce mai davvero da Prato ma la città è aperta sul serio a chi viene da fuori, c’è passato e ci passa ancora il mondo intero e questo la dice lunga sulla furbizia toscana: lì si fa venire tutti dove c’è più brutto così il bello è un po’ più nostro. Il lucchese sa allontanarsi davvero da Lucca ma la città è chiusa come le mura che la cingono ed ha cento chiese al suo interno, doveva essere divertente nel Medioevo e un ragazzo dei giorni nostri vi può rincorrere a piè sospinto il sogno del suicidio. Pistoia, già nota anche come Tristoia, ha due orsi per simbolo, montagne tibetane alle spalle e le torri delle sfatte mura rivolte verso le città, perché i fiorentini non si fidavano mica di quella strana genia abile a tramare malefatte e attirare guai, briganti e il Rinascimento, che col pulpito di Sant’Andrea vi nacque. E i fiorentini bottegai, che non si sentono secondi a nessuno hanno venduto al mondo intero pure il loro primato, Firenze – che solo a nominarla si sviene di stupore – che non sarà mai una città ma sempre un paese, proprio loro che son più paesani delle genti dei nostri borghi di montagna. Quelli tutti uguali, spina dorsale e linfa vitale di una terra predata che si sente ancora vergine lassù perché in fondo la Toscana è tutta una campagna anche quando è piana o guarda il mare. La Toscana è un cipresso, una sempreverde.
