Bruce Cockburn, la provincia cronica, un concerto sutra

B A C K D O O R suoni & parole selvagge è tornato. La prima estate una sega: una leggenda del folk nella provincia cronica, un Re dei campi stellari nella casa del popolo della Toscana profonda. Perché son belli i festival fichi, ma quelli bastardi ti restano dentro. Se cercate un festival senza token e in cui litigare per l’ultima Moretti nel frigo con un pensionato pisano o un immigrato pakistano, Backdoor è ciò che fa al caso tuo. Sarah Davachi, Simon Finn, Buck Curran e altri randagi son passati, ora è il turno di Bruce

A cena si parlava di mistici, del viaggio nel bardo, del gusto superiore di chi si fa toccare dall’altro mondo. Quello da cui tutti proveniamo e a cui torniamo, dopo. Ma a qualcuno capita anche nel mezzo, di trovarsi in quello stato intermedio e quel vibrare peculiare lo puoi sentire anche senza credere in nessuna visione o religione. È la poesia della presenza, si potrebbe tentare di dire e subito dopo ti viene voglia di cancellare e riscrivere. A volte accade insieme, per esempio ai gruppi di fedeli che si riuniscono per celebrare un rito, devoti a quest’energia misteriosa e che eppure sappiamo riconoscere senza esitazioni. Comincerei da qui per dire che cosa sia accaduto ieri sera a Castelfranco di Sotto, provincia cronica pisana, nella stanza sul retro della locale casa del popolo. Un luogo incrostato di quella normalità stordente, in cui da anni un piccolo gruppo di integralisti cosmici di cui mi fregio di far parte propone l’alternativa radicale di un festival per erotomani musicali. Ieri sera vi si è celebrato un rito. L’anziano sciamano si è avvicinato al palco sostenendosi su due non uno bastoni, sfido chiunque in quel momento a non dubitare della sua capacità residua di accendere un fuoco. Dal momento in cui si è seduto, è parso già di notare un improvviso cambio di stato, un ringiovanimento miracoloso. Ha imbracciato la chitarra, ha socchiuso gli occhi ed è entrato per primo. Noi lo abbiamo seguito. Dove? Nel sutra dispiegato in trentaquattro album, migliaia di concerti e viaggi per diffondere il verbo di un dio della musica folk del Novecento. Quella di Bruce Cockburn è una fede costellata di campi stellari, amori che bruciano e un’attenzione costante per i dettagli in cui la vita si compie davvero, per quell’energia che pervade le cose e le non cose. È allora che quell’energia è accaduta anche a tutti noi, a ognuno a modo suo ma in un silenzio condiviso, in una devozione diffusa, per due ore di canzoni a cuore aperto, a tu per tu con un pubblico felice di partecipare al grande fuoco. Al termine lo sciamano si è chiuso nel camerino per altre due ore senza parlare con nessuno, per lasciar defluire ciò che non si può portare nella vita di tutti i giorni senza finire a vivere in questo mondo come nell’altro, in altre parole senza impazzire. Ma come è dolce quella follia…

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