Gasperini non sa vincere, evviva Gasperini
Non ho mai retto Gasperini fino a ieri sera, ma per il motivo sbagliato: non il trionfo, ma il disagio nel trionfo. Guardando i video ho provato innata simpatia per l’allenatore più impacciato nei festeggiamenti che io ricordi. Al fischio finale impazzisce di gioia, come dopo un goal al novantesimo, roba di mestiere ormai. Ma più la festa va avanti più sembra aggirarsi spaesato, confuso circa il da farsi. I giocatori non sembrano cercarlo come farebbero con un più moderno allenatore amico del gruppo, si dice che sia uno della vecchia scuola e i giocatori sembrano frenarsi quando se lo trovano davanti, poi è lui timido nella loro morsa liberatoria come a dire, col corpo, ma non esagerare. Quando alzano la coppa si avvicina un attimo, poi si allontana di nuovo, applaude la squadra a un metro di distanza come se non fosse opera sua, non per umiltà ma, di nuovo, per irrefrenabile imbarazzo. In seguito si scioglie, si lascia andare, trova la sua forma nel caos informe della festa selvaggia. A un certo punto abbassa le braccia davanti ai tifosi, ai giocatori, allo stadio, alla sua indimenticabile notte di trionfo come a dire basta così dai, torniamo a lavorare. Se come allenatore è indiscutibile da tempo, mi è sempre sembrato un uomo presuntuoso e arrogante che nascondeva i suoi reali sentimenti con la caricatura dei suoi pregi. Ieri si è finalmente lasciato andare a tutta la sua privata insicurezza e mi sono sorpreso a volergli, improvvisamente, bene, a provare per lui un’ubriacatura di empatia. Quanto farebbe bene una psicoterapia di massa per la generazione boomer, quanti sentimenti trattengono per sé, avvolti nella trasparenza della vergogna, e quanto sono belli, potenti e liberatori quando, improvvisamente, decidono di vivere interamente, quando non riescono a nascondersi e sono semplicemente quello che sono. Il Gasperini impacciato di ieri è un capolavoro dell’umanità al pari del Mazzone d’annata.