L’oro di Jacobs e come smettere di autosabotarsi attraverso la psicologia dello sport

Sono psicologo dello sport e amo queste storie: un anno fa Jacobs si rivolge a una professionista, vuole lavorare sulla propria psiche oltre che sul proprio corpo. Sembra ci sia qualcosa che lo faccia rendere sempre meno di quello che potrebbe. Poi inizia a correre, sempre più forte, fino all’oro di ieri.
«Scattava sempre qualcosa nel mio inconscio, giù nel profondo, che finiva col sabotarmi e col farmi finire in un limbo in cui neppure sapevo se essere arrabbiato con me stesso oppure no. Fino all’anno scorso dicevo a me stesso che questo sono io, prendere o lasciare. Sono fatto così, mi mancano dei pezzi, e non potrò mai rimetterli tutti assieme. Dentro di me c’era una voce, una di quelle che bisbiglia, e che se ascolti la musica al volume a cui piace a me, neppure riesci a sentire. Mi diceva di non provarci per davvero. Di non andare a vedere cosa ci fosse alla fine del rettilineo. Se non dai il massimo e fallisci, non importa, ti sentirai leggero comunque. Ma se dai il massimo e fallisci lo stesso, allora significa che non sei abbastanza. E quindi ecco che il mio cervello mi ha sempre servito una scappatoia, una volta volta arrivato in pista»
Per i colleghi psicologi che fanno la guerra ai coach, io dico che qui c’è mooolto da imparare dalla sua mental coach – lavoro sulla respirazione, reintegrare il padre assente, togliere l’elastico di pressione esterna… – e che chi si rifiuta di imparare va poco lontano, rischiando di tenere fermi anche i pazienti, clienti, talenti.
Da Rivista Undici ho tratto l’intervista, si può leggere integralmente qui: http://www.rivistaundici.com/2021/08/02/marcell-jacobs-oro-tokyo/?fbclid=IwAR3lqcbyu95oa_GrSS5WMBs6XMIghf8bIZtYPUV6TIb-8VYFxcREKN0wYz4