“Appennino Giappone”, un libro e una mostra fotografica di Andrea Lippi a cui sono lieto di partecipare

Sono orgoglioso di presentarvi il libro fotografico “Appennino Giappone”, l’unione di due terre così vicine e così lontane in 40 immagini di Andrea Lippi, con cui ho collaborato per il libro “Franti. Perché era lì” e il festival “Backdoor”, che afferra gli istanti incantevoli della natura del mio amato Appennino. In questa opera, a cui ho contribuito con tre miei testi, “ogni terra contiene parte dell’altra terra… è con questo pensiero che è nata la mostra e il catalogo delle fotografie di Andrea”. Secondo l’idea di Giovanni Breschi, curatore dell’opera, “abbiamo pensato di unire queste due terre così lontane (corrono novemilacinquecento chilometri), e le fotografie si sono sparse sul tavolo. Sparpagliate montavano una sopra l’altra, si confondevano, comunicavano fra di loro, come se si riconoscessero, e ciascuna foto conteneva parte dell’altra foto, proprio come ogni terra contiene parte dell’altra terra. Abbiamo costruito una sequenza, partendo dall’Appennino in cui via via si inseriscono alcune immagini del Giappone, nel punto centrale due ponti: quello del Diavolo a Borgo a Mozzano e quello di Amanohashidate, Miyazu, il ponte, che appunto è il maggior elemento di unione di due terre. Poi proseguiamo con le foto giapponesi dove si insinuano alcune immagini dell’Appennino. Un collegamento audace, proprio della nostra rivista, trovare collegamenti, incontrare e far incontrare. Unire terre e persone. Confrontare, dialogare. Ogni persona contiene parte dell’altra persona.”

Dalla prefazione dell’altro comune amico, Paolo Ciampi:

“Sono stati proprio loro a insegnarmelo, spazzando via il luogo comune sui viaggiatori. Prima anch’io la pensavo come viene da pensare. Viaggiare è prendere e partire. Viaggiare è scegliere una destinazione, la più distante possibile. Magari un altro continente, un altro fuso orario, certamente un’altra lingua.
Per fortuna che ci sono stati loro, i miei due concittadini. Fosco Maraini e Tiziano Terzani, gente fatta apposta per smentire ciò che sui fiorentini asseriva un altro grande fiorentino, Carlo Collodi: che noi nati sulle sponde dell’Arno siamo come gramigna che cresce tra i lastrici, per venir via bisogna strapparci, tanto il massimo dell’esotico per noi è Livorno.
Poi arrivano loro. Puntano alle montagne che sono il tetto del mondo, si insediano nel paese del sole che nasce, risalgono i fiumi tropicali, attraversano i deserti nemmeno fosse un quartiere dell’Oltrarno. Due tra i più grandi viaggiatori del Novecento. Eppure non smentiscono solo il babbo di Pinocchio, smentiscono anche chi è convinto che viaggiare sia solo questo: partire, andare lontano.
Viaggiare – questo mi hanno spiegato – è invece mescolare lontano e vicino: e rendere lontano il vicino non è meno importante di rendere vicino il lontano. Viaggiare è tornare, viaggiare è ritrovare: abbracciare il pianeta intero perché siano più salde le nostre radici. E mi piace che queste radici non affondino in una strada cittadina, ma in un luogo del nostro Appennino, così prossimo, così remoto: quella montagna che abbiamo sotto casa e che abbiamo dimenticato quanto ci sia maestra, come non si stancava di cantare Beatrice di Pian degli Ontani, la poetessa pastora.
Questa è stata la parabola di Tiziano Terzani, con la sua casa all’Orsigna, sulla montagna pistoiese, porto sicuro di rientro dall’India o dalla Cina. «Il pensiero di questo posto» – scriveva – «mi è servito da bussola nei miei vagabondaggi nel mondo e quando a miei figli, cresciuti in paesi d’altri, ho voluto dare radici e mettere nelle memorie l’odor di una casa cui legare poi la nostalgia dell’infanzia, ho imposto loro, come regola di famiglia, di passare ogni anno due mesi a Orsigna.»
Un lembo di montagna a un’ora di casa: la tana, il rifugio, il luogo della pace e della poesia della vita, il luogo anche dell’ultimo saluto.
E questa è stata anche la parabola di Fosco Maraini, miscuglio di mondo già nella genealogia famigliare, l’impulso al nomadismo nel Dna, l’eterna tentazione di mettere insieme Oriente e Occidente, i palazzi rinascimentali di Firenze e i giardini Zen di Kyoto. Per poi chiudere il cerchio della sua esistenza nella villa di Torre di Sopra, al Poggio Imperiale; il piccolo cimitero dell’Alpe di Sant’Antonio, tra i monti della Garfagnana, per l’estremo riposo. Case amori universi, si intitola il suo libro autobiografico, bellissimo: dalla Maremma al Tibet e ritorno, il vicino e il lontano mischiati.
Mi viene in mente un altro grande viaggiatore del Novecento, Ryszard Kapuściński, compagno ideale di Tiziano e Fosco nella fame di mondo, nell’umiltà con cui il mondo lo attraversava. Ryszard che, in partenza per i teatri di guerra più tremendi e improbabili, non scordava mai di portare con sé le chiavi di casa: ed era molto di più di un gesto scaramantico.
Fosco e Tiziano: ovvero l’Oriente confluito nell’Occidente. Perché il Cimone o il Libro Aperto cercano il cielo come le vette dell’Himalaya. Perché identica è l’acqua che scorre nel Gange e nei torrenti dell’Appennino. E come un monaco del Ladakh anche sulle Apuane ci si può riconoscere in un filo d’erba o riempirsi lo sguardo e il cuore di stelle.”

Ecco il video dell’inaugurazione della mostra, bellissima, a cui ho partecipato.
La mostra è visitabile fino al 30 settembre alla Biblioteca delle Oblate, a Firenze.

Andrea Lippi si avvicina alla fotografia grazie alla macchina del padre per poi occuparsene con continuità dall’età di 23 anni, realizzando una camera oscura e iniziando a stampare in proprio le sue foto. Dal 2003, anno in cui fonda con alcuni amici il gruppo BoulevardUtopie che si occuperà di foto e video, inizia a ideare alcuni progetti fotografici, tra i quali Ioedio, Presenze, People Met e Floating lights. Dal 2008 avvia la collaborazione come video-maker e artista di scenografie digitali con alcune compagnie teatrali. Nel 2010 entra a far parte del collettivo Playsomenting creando immagini, foto e video in performance audiovisive presentate a Firenze, Milano, Roma e Mosca. In questi anni Andrea viaggia molto prima in Europa e poi a New York, dove ha modo di apprezzare la grande fotografia americana del Novecento. Nel 2014 è la volta del suo primo viaggio in Asia, che lo porta a visitare la Cina. L’ anno successivo, affascinato dall’oriente, visita per la prima volta il Giappone e se ne innamora. Inizia un periodo di studio sulla cultura giapponese che lo porta ad affrontare più viaggi in Giappone. Nel 2017 nasce il progetto Lights of Japan, seguito dalla pubblicazione del libro omonimo, che raccoglie circa ottanta fotografie dei vari soggiorni nel paese del sol levante. Dopo numerose mostre e iniziative in Italia a Roma, Milano e Firenze, nel 2018 Andrea inaugura la prima mostra in Giappone presso l’istituto Italiano di Cultura di Osaka. Successivamente le foto vengono presentate in una grande mostra all’univeristà di Mito con il patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo e successivamente a Obu (Nagoya), mostra di cui si occupano anche le tv giapponesi. Le fotografie di Andrea sono state pubblicate su molte riviste e siti web. Dal 2006 Andrea insegna fotografia, composizione ed estetica dell’immagine durante corsi, workshop e seminari, con la partecipazione di centinaia di studenti. Attualmente vive a Castelfranco di Sotto, e ha il proprio studio, Digitalismi, a Empoli.

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