Addio a Giulia Niccolai, poeta e monaca amica dell’India

Ha lasciato il corpo Giulia Niccolai, di cui amo ogni racconto, poesia e gioco letterario. E con cui ho avuto la fortuna di intrattenere una stupenda corrispondenza. Anni fa mi scrisse questa bellissima lettera, diventata poi postfazione del mio diario di viaggio “India – Complice il silenzio”, che le piacque tanto. Giulia mi raccontó il suo legame con l’India e la poesia, profondissimo, confrontandolo con il mio che era appena iniziato. Le sono grato, tanto, per questo e per tutto ciò che ha scritto e attraversato. Un estratto:
“Sono contenta che tu abbia voluto menzionare Moravia e la sua definizione “l’esperienza dell’India”, perché anch’io (per ciò che mi preme dirti), vado indietro nel tempo e cito Flaiano, che la visitò nei lontani anni Cinquanta, e Manganelli più tardi, durante il decennio dei Settanta. Entrambi questi grandi scrittori e anche esseri umani molto sensibili e rari, confessarono di aver passato lunghe settimane di depressione dopo essere tornati in Italia dal viaggio in India. Non riuscivano ad accettare le condizioni di inaudita povertà nelle quali avevano visto migliaia di persone.
Io sono invece stata in India la prima volta alla fine degli anni Ottanta. Ero già buddhista da quattro anni, e in qualche modo, i sorrisi spontanei che avevo visto sui volti di numerose persone, mi avevano fatto intuire che gli indiani erano più autentici, spontanei e forse anche sereni di quanto non lo fossimo noi dell’Occidente.
Ora, avevo già capito da tempo che siamo tutti figli della nostra generazione, ma il fatto che la mia recente fede buddhista mi facesse giudicare l’India in maniera così diversa – direi opposta – da come l’avevano vissuta Flaiano e Manganelli, mi lasciò molto perplessa, incredula. Anche perché, sia Flaiano che Manganelli si definivano atei, tuttavia entrambi erano profondamente spirituali.
Per terminare il discorso, non posso che attribuire la profonda differenza tra le loro reazioni e la mia, a qualcosa che abbia a che fare con l’influenza, l’insospettato potere dell’influenza del subconscio collettivo.
Per i buddhisti: tutto è nella nostra mente. Ma quel “tutto”, quanto è illusione, proiezione, subconscio collettivo ecc. ecc.? Questo disagio, questo dubbio mi proibisce da tempo di giudicare ciò che non riconosco come molto simile al modo stesso di pensare della mia stessa mente.
Manganelli, nel libro del suo viaggio, paragona l’India a un enorme scalo ferroviario nel quale siamo già passati tutti, prima o poi.
L’India del sud, da Bangalore a Bylakuppe (150 km. più a ovest), che vidi dal finestrino di un’auto alla fine degli anni Ottanta, per raggiungere dall’aeroporto, il Monastero buddhista tibetano di Sera Je, mi fece sentire di essere in un paesaggio antichissimo (biblico?): un contadino con un aratro di legno; una valletta di forni e di fuochi dove altri contadini stavano cuocendo mattoni per poi costruire la loro casa.
Lungo la strada, priva di traffico, termitai rossi, alti più di un metro “gotici e turriti/ ampi ed elaborati/ laboriosamente costruiti/ in disarmante somiglianza/ con i castelli di sabbia più belli/ della mia infanzia”.
L’India la “riconoscevo”, era come se la riconoscessi perché si tratta di un passato lontano nel quale ero già stata e avevo amato. L’India è antica. Come le nostre menti, già vissute in infinite, precedenti incarnazioni?
Questa volta, bambina, con altri bambini, l’avevamo anche plasmata nella sabbia, quell’India così fiabesca ma terra-terra che avevamo dentro.
Due tuoi versi che mi sono piaciuti moltissimo sono:
‘sotto una raffica
di insegne luminose’
e ho subito capito perché. In questo caso tu descrivi qualcosa di precisissimo che vedi, che ti colpisce e che ci racconti con una parola: “raffica”, così perfetta da rendere l’immagine assolutamente indimenticabile. Uno schiaffo.
Anche la mia poesia è sempre basata su qualcosa di ben preciso che vedo, oppure su un ben determinato pensiero che mi fa poi fare un certo ragionamento.
La tua poesia è invece quasi sempre profondamente lirica, la associ al vento, a qualcosa di imprendibile e di incontrollabile, un tuo stato d’animo di grazia che corrisponde al tuo sentirti immerso nella poesia stessa:
‘Vedi, ora scrivo
ma quando mi leggo
mi sono straniero’
Sono versi bellissimi che io non potrei mai scrivere perché non mi succede mai una cosa simile.”
Narratrice, giornalista, fotografa, critica d’arte, poetessa, Giulia Niccolai è una delle figure più dinamiche e rappresentative della neoavanguardia italiana, con opere significative come Harry’s Bar e Frisbees. Dopo essersi divisa tra gli Stati Uniti e Milano, ha scoperto l’Oriente, avvicinandosi allo spiritualismo buddista e diventandone monaca praticante.
Di seguito un articolo su Giulia, e una bellissima intervista: https://rebstein.wordpress.com/2010/03/19/meditazioni/